Tutti conoscono Metal Gear Planet come luogo di ritrovo per gli amanti della saga Metal Gear Solid, ma è anche un posto che pullula di amanti del suo genio creatore: Hideo Kojima. È arrivato quindi il momento di parlare del suo nuovo gioco: Silent Hills, ripercorrendo il cammino dell’omonima saga Konami. Cercheremo di andare oltre le news spicciole circolate in rete (che per chi non avesse seguito il progetto, consiglio di leggerle qui) per guardare con maggior profondità il progetto alla luce di ciò che Silent Hill è stato in passato e di ciò che potrebbe essere in futuro.
Partiamo dal primo capitolo per PS1, diretto da Keiichiro Toyama, il quale nacque come risposta di Konami per contrastare il successo indiscusso di Resident Evil di Capcom. Il gioco infatti ne riprende i controlli e le meccaniche survival, la scarisità di munizioni, il level design intricato e gli enigmi da risolvere. Nonostante questo, propone qualcosa di mai visto nel genere fino ad allora: un’intera città da esplorare (con i dovuti limiti di level design), che dona al giocatore una libertà esplorativa molto superiore ai corridoi stretti della saga Capcom. Ma non finisce qui, Silent Hill mette subito un punto fermo: la narrazione non è concreta, ma bensì psicologica, e non a caso una delle sue maggiori fonti di ispirazione è proprio il film horror psicologico "Jacob’s Ladder", che punta a disorientare lo spettatore in una gabbia mentale da cui uscirà solo alla fine del film, chiarendo il viaggio di follia e realtà intrapreso. Silent Hill si potrebbe dire un viaggio verso l’ignoto, che disorienta il giocatore con orrori e giochi mentali, un incubo da cui il giocatore può svegliarsi solo a fine gioco.
Il titolo fu un successone e Konami decise di farne un secondo capitolo, sempre sviluppato dal Team Silent, ma questa volta senza Toyama, che se ne andò per lavorare ad un nuovo progetto: Forbidden Siren. Silent Hill 2 è forse il più apprezzato della serie e intraprende una strada ancora più specifica rispetto al primo capitolo, mettendo decisamente in secondo piano il gameplay survival e dando risalto alla narrativa, la quale diventa fulcro di tutta l’esperienza. Se il primo mostrava l’oscurità dell’ignoto, disorientando la mente del protagonista/giocatore, il secondo si prefissa di mostrare luci e ombre della mente umana, enfatizzando ancor più l’aspetto psicologico. È la trama da oscar, accompagnata da atmosfere sempre all’altezza e da un gameplay di poche pretese ma ben integrato, quel che rende così grande questo titolo. Il merito va soprattutto al talentuoso writer Takayoshi Sato che, purtroppo, nonostante il successo del titolo decise di abbandonare la saga e il media videoludico come lo conosciamo per dedicarsi ai cosiddetti Serious Games.
In seguito fu la volta di Silent Hill 3, titolo che ha avuto la sfortuna di uscire dopo due simili capolavori, e che non vanta né un gameplay all’altezza del primo, né una narrativa all’altezza del secondo, venendo schiacciato dalle enormi aspettative dei fan. Di suo però porta la bellezza stilistica orrorifica (o possiamo dire bruttezza orrorifica) ai massimi livelli nella saga, comparto che si sposa bene con le atmosfere e che ne valorizza il titolo.
Il Team Silent dopo ben 3 capitoli di Silent Hill decise di prendersi una pausa lavorando ad una misteriosa nuova IP, ma Konami ebbe altri piani per loro. In un periodo dove il genere stava perdendo di interesse commerciale non se la sentì di rischiare con una nuova IP e, a sviluppo inoltrato, trasformò questo progetto in Silent Hill: The Room, il quarto capitolo della saga. Questo introduce la visuale in prima persona che si attiva solo quando il protagonista si trova nel piccolo appartamento dov’è stato imprigionato ad inizio gioco: il titolo infatti alterna brevi sezioni in quest’ultimo (con visuale in prima persona) a sezioni più lunghe (in terza persona) in altri luoghi di Silent Hill, a cui il giocatore accede tramite un misterioso portale nel suo alloggio. Questo capitolo ebbe un buon riscontro da parte dei fan, ma Konami non fu per niente soddisfatta dalle vendite, tanto che sciolse il Team Silent.
Con l’avvicinarsi della nuova generazione (PS3-360), il genere perse quasi completamente di interesse per i publisher e dopo la deriva action di Resident Evil, anche Silent Hill doveva adattarsi alle esigenze di mercato. Cominciò così il periodo più buio della saga: prima con Homecoming, poi Shattered Memories e infine Downpour, tutti capitoli affidati a piccoli team occidentali, dove il supporto economico di Konami diventò da tripla A a low budget, passando da titolo di punta a titoletto secondario. Per quanto il risultato fu tutt’altro che mediocre, questi titoli sono ben lontani dai vecchi fasti del primo e del secondo capitolo e hanno perso quello stile giapponese che caratterizzava i giochi precedenti, suscitando un sacco di lamentale da parte dei fan.
La saga dunque non ha mai avuto una figura direttoriale fissa che portasse avanti la sua personale idea da un capitolo all’altro, come Kojima in MGS, ma è stato un continuo ricambio di talenti che proponevano a modo loro la formula Silent Hill. Tra questi talenti vi è uno che è rimasto più di tutti attaccato a questa saga: parlo di Akira Yamaoka, composer straordinario a cui dobbiamo la soundtrack e il sonoro di tutti i Silent Hill tranne l’ultimo uscito (Downpour); una figura unica e insostituibile che ci auguriamo ritorni per Silent Hills.
Dopo questo sguardo nel passato possiamo vedere cosa ci aspetta in futuro: è il momento di Silent Hills (titolo provvisorio) di cui ancora sappiamo poco, presentato al pubblico con l’enigmatico P.T. (Playable Teaser). Questo teaser, a detta degli sviluppatori (Kojima Productions), è stato creato appositamente per annunciare il nuovo capitolo della saga horror Konami e non rappresenta in alcun modo il nuovo Silent Hill. L’unica notizia certa è l’utilizzo del Fox Engine e, se la grande innovazione di Silent Hill fu la libertà esplorativa in grandi aree anziché gli stretti corridoi, quale motore poteva essere più azzeccato di questo, studiato appositamente per aree vaste? Oltretutto il team punta ad una grafica di altissimo livello su PS4, comparto tecnico da non sottovalutare per un titolo del genere.
Questa volta il testimone passa a Hideo Kojima e Guillermo del Toro che dirigeranno all’unisono il progetto per cercare di riportare la saga ai fasti di un tempo: si ritorna dopo più di 10 anni ad un budget da tripla A e diventa di conseguenza il titolo di punta Konami insieme a MGS. Del Toro è un regista cinematografico talentuoso e geniale, come Kojima lo è in ambito videoludico. Sappiamo che è un gamer esperto che ha seguito i videogiochi dagli albori e ha visto maturare questo media, nato per regalare semplice divertimento ludico ed evoluto fino a trasformarsi in complesse e profonde esperienze narrative, di cui Kojima è uno dei pionieri. Ha cominciato a lavorare nel settore non molti anni fa, quando ha deciso di dirigere un survival horror per THQ di nome "Insane", un horror psicologico in prima persona che si ispirava alle opere di H. P. Lovecraft. Durante il progetto dichiarò di voler inserire alcune idee che definì molto innovative per il genere, ma a causa del budget stretto dovette inserirne soltanto una di queste; purtroppo non sappiamo ancora oggi di cosa si tratta, visto che il progetto è stato presumibilmente cancellato con la chiusura del publisher che lo finanziava ed il passaggio di Del Toro a Kojipro, ma di certo con i fondi di cui dispone adesso si potrà permettere tutte le idee innovative che vuole. E chissà che non porti qualcosa di Insane in Silent Hills.
Altro punto da tenere in considerazione è che Del Toro, stando alle sue parole, “non conosce bene il linguaggio (comunicativo) videoludico” e questo a prima vista parrebbe in contrasto con quanto detto poc’anzi, ma in realtà non è così. Conoscere il linguaggio videoludico da giocatore è diverso da conoscerlo in fase di progettazione e in sostanza il regista afferma di non avere l’esperienza per creare una narrazione con i videogiochi, nonostante conosca molto bene esempi di narrazione videoludica e nonostante si sia sicuramente spolpato a suo tempo tutti i capitoli della saga Silent Hill. Una cosa è certa, Del Toro ha uno dei migliori director e writer sulla piazza a spalleggiarlo: Hideo Kojima.
Kojima tempo fa disse di non avere esperienza nel genere: l’unico survival horror provato fu Silent Hill 1, ma lo dovette abbandonare per la troppa paura. La sua narrativa, inoltre, è diretta e minuziosa di particolari, l’esatto l’opposto di quella di Silent Hill che punta più sul “non detto” che sul “detto”. Non dobbiamo dimenticarci però che stiamo parlando della stessa persona ideatrice dello scontro con The Sorrow, Psycho Mantis e l’unità Beauty & The Beast, entità riconducibili almeno in parte all’immaginario horror. Dunque anche Hideo Kojima, nonostante sia uno dei director più talentuosi in circolazione, come Del Toro, sta lavorando a qualcosa di nuovo per lui. Un’accoppiata bizzarra e imprevedibile: chi può dire cosa combineranno questi due geni? Controbilanceranno le proprie carenze in materia per creare un titolo memorabile o falliranno nel loro intento? Qui mi viene da pensare a Orson Welles, regista di "Quarto Potere", film che a suo tempo rivoluzionò completamente il cinema. Egli disse di conoscere molto poco i film che facevano al tempo quando diresse questo capolavoro, e in pratica lo fece senza avere paragoni a cui ispirarsi. Si può dire che il cinema lo avesse nel sangue: un genio assoluto. Tornando a Kojima, se non ha un’idea precisa di cosa siano i survival horror, che sia la volta buona che ne inventi uno da zero, proponendo un nuovo modello del genere. Forse sto correndo troppo con la fantasia, ma, come già detto, da questi due geni ci possiamo aspettare di tutto e sia chiaro: per "tutto" non intendo solo in positivo.
Con questo potenziale dietro e con i riflettori di Konami puntati a piena potenza su Silent Hill, non ci si può non entusiasmare e non ci resta dunque che aspettare delle nuove da Kojipro per vedere cosa hanno in serbo per noi per il ritorno in pompa magna di una delle saghe più amate dai giocatori.
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